BARBARA VILLOSIO

Barbara Villosio nasce a Torre San Giorgio, in provincia di Cuneo, nel 1970. Si diploma presso il liceo Artistico Ego Bianchi a Cuneo. Prosegue i suoi studi in un corso di specializzazione in design a Milano.
Conclude i suoi studi laureandosi in discipline pittoriche presso l?Accademia di Belle Arti di Torino nel 1993. Proprio in questi anni inizia a proporre i suoi lavori a varie associazioni sul territorio italiano e nel nord America. La sua ricerca è un susseguirsi di spazi, forme, figure, volti inquietanti che urlano, si muovono e si contorcono nella propria dimensione. La luce passa indifferente ed ignara su corpi che corrono, si intrecciano e si disperano nel ricordo. Da sempre affascinata dalla fenomenologia della luce, ne trae ispirazione per esprimersi e per lasciar parlare le figure che questa nasconde. Attraverso collage di carte invecchiate e sovrapposte, unite a ritagli di giornali e carte da parati, Barbara crea uno spazio gestito in monocromia quasi morbosa. Coinvolta da tutto ciò che è forma e colore ( o non colore), dai muri scrostati ai graffiti delle stazioni e delle strade di quartiere, orienta la sua ricerca verso lo studio di pitture ed incisioni rupestri primitive. Confini, territori, mappe, la cui monocromia si anima grazie ai segni gestuali incisi su queste con matite litografiche dai tratti forti e decisi.  Le forme si intrecciano una sull’altra, creano strati di memoria, proprio come nei cerchi dell’albero dove si può leggere la sua vita, attraverso i suoi anelli.. Tutti i suoi segni sono la testimonianza del suo percorso artistico, la sua scelta, una direzione unica, anche e soprattutto quando questa è stata disattesa.  
Il risultato della sua ricerca ? il tempo che scorre inquieto, incessante, la sua forza , si dispera e allo stesso si esprime.

OPERE

È possibile travasare in discorso verbale le operazioni che compie un pittore, accumulando sottraendo materie “reali” luce e spazio “finti”, bruciando intere storie in un gesto, dilazionando un nome e un colore in una eternità di precisazione? È possibile, avrebbe senso, visto che si tratterebbe, al meglio, di un approssimativo ricalco? Si potrebbe invece sperare che l’artista stesso, o altri per lui, appuntasse le interazioni, chiarisse il metodo, verificasse l’esito in rapporto alle premesse.

Come a dire: c’è una parte della vicenda formativa che appartiene solo all’immagine, e che può essere intesa solo da chi si concentri sull’immagine; c’è una parte che dal progetto passa all’opera (spesso non coincidono), che per così dire appartiene solo all’immagine, e che può essere espressa anche in altro modo.

Alla domanda se scrive qualcosa intorno alla sua pittura, Barbara Villosio, mi risponde di no eppure – è lei stessa a dirmelo -pensa molto, macera nel desiderio e nelle aspettativa le immagini che si svilupperanno sul campo.

Ma cosa pensa? Una sequenza di immagini mano a mano messe a fuoco? Una serie d’intuizioni o progetti o almeno di approntamenti e modi di agire?

E’ un fatto che mi presenta solo dipinti, in originale e in foto e dà per scontato che sappia individuare materiali e procedure di elaborazione: carte di supporto o tele, velature trasparenze macerazioni, materiali grassi e magri diluiti parzialmente dilavati sovrapposti così da ottenere un’articolazione spaziosa in profondità e latitudine, protagonista la luce che filtra esaltandosi o smorzandosi  traverso i molti sipari frapposti, facendo corpo con essi, rarefacendone la consistenza; e che sappia valutare il significato della traccia di matita litografica, che timbra e sospende l’oscillazione della materia-luce.

Se non ci fosse un addensamento verso il centro e la traccia forte in questione, la pittura di Barbara consterebbe nella integrale vanificazione della consistenza e definizione spaziale del campo;

e invece, così l’immagine viene giocata tra liquefazione o vaporizzazione e precisa messa a punto.

Come leggeremo quella traccia? La maniera più plausibile è che essa rappresenti una presenza forte e insieme problematica; che tale presenza si dislochi sempre in parte defilata –spesso in basso a destra- significherà qualcosa, così il fatto che essa si annodi e si sciolga alla maniera di una sigla, nel senso di esclusiva registrazione di una scrittura del corpo. Dal punto di vista dell’immagine, è evidente che la traccia anche per essere realizzata a compimento del lavoro con un materiale differente- rappresenta un soggetto; potrebbe, la sua chiarezza di emersione, ridurre  a fondale tutto il resto, se non si tenesse a margine, contando sulla incisiva sottigliezza e la relativa apertura.

Un segno discreto, dunque, che non pretende d’essere protagonista, d’accamparsi nel centro, che assume il proprio essere davanti come una responsabilità critica, in bilico.

 

 

 

Pino Mantovani

È possibile travasare in discorso verbale le operazioni che compie un pittore, accumulando sottraendo materie “reali” luce e spazio “finti”, bruciando intere storie in un gesto, dilazionando un nome e un colore in una eternità di precisazione? È possibile, avrebbe senso, visto che si tratterebbe, al meglio, di un approssimativo ricalco? Si potrebbe invece sperare che l’artista stesso, o altri per lui, appuntasse le interazioni, chiarisse il metodo, verificasse l’esito in rapporto alle premesse.

Come a dire: c’è una parte della vicenda formativa che appartiene solo all’immagine, e che può essere intesa solo da chi si concentri sull’immagine; c’è una parte che dal progetto passa all’opera (spesso non coincidono), che per così dire appartiene solo all’immagine, e che può essere espressa anche in altro modo.

Alla domanda se scrive qualcosa intorno alla sua pittura, Barbara Villosio, mi risponde di no eppure – è lei stessa a dirmelo -pensa molto, macera nel desiderio e nelle aspettativa le immagini che si svilupperanno sul campo.

Ma cosa pensa? Una sequenza di immagini mano a mano messe a fuoco? Una serie d’intuizioni o progetti o almeno di approntamenti e modi di agire?

E’ un fatto che mi presenta solo dipinti, in originale e in foto e dà per scontato che sappia individuare materiali e procedure di elaborazione: carte di supporto o tele, velature trasparenze macerazioni, materiali grassi e magri diluiti parzialmente dilavati sovrapposti così da ottenere un’articolazione spaziosa in profondità e latitudine, protagonista la luce che filtra esaltandosi o smorzandosi  traverso i molti sipari frapposti, facendo corpo con essi, rarefacendone la consistenza; e che sappia valutare il significato della traccia di matita litografica, che timbra e sospende l’oscillazione della materia-luce.

Se non ci fosse un addensamento verso il centro e la traccia forte in questione, la pittura di Barbara consterebbe nella integrale vanificazione della consistenza e definizione spaziale del campo;

e invece, così l’immagine viene giocata tra liquefazione o vaporizzazione e precisa messa a punto.

Come leggeremo quella traccia? La maniera più plausibile è che essa rappresenti una presenza forte e insieme problematica; che tale presenza si dislochi sempre in parte defilata –spesso in basso a destra- significherà qualcosa, così il fatto che essa si annodi e si sciolga alla maniera di una sigla, nel senso di esclusiva registrazione di una scrittura del corpo. Dal punto di vista dell’immagine, è evidente che la traccia anche per essere realizzata a compimento del lavoro con un materiale differente- rappresenta un soggetto; potrebbe, la sua chiarezza di emersione, ridurre  a fondale tutto il resto, se non si tenesse a margine, contando sulla incisiva sottigliezza e la relativa apertura.

Un segno discreto, dunque, che non pretende d’essere protagonista, d’accamparsi nel centro, che assume il proprio essere davanti come una responsabilità critica, in bilico.

 

 

 

Pino Mantovani

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