È possibile travasare in discorso verbale le operazioni che compie un pittore, accumulando sottraendo materie “reali” luce e spazio “finti”, bruciando intere storie in un gesto, dilazionando un nome e un colore in una eternità di precisazione? È possibile, avrebbe senso, visto che si tratterebbe, al meglio, di un approssimativo ricalco? Si potrebbe invece sperare che l’artista stesso, o altri per lui, appuntasse le interazioni, chiarisse il metodo, verificasse l’esito in rapporto alle premesse.
Come a dire: c’è una parte della vicenda formativa che appartiene solo all’immagine, e che può essere intesa solo da chi si concentri sull’immagine; c’è una parte che dal progetto passa all’opera (spesso non coincidono), che per così dire appartiene solo all’immagine, e che può essere espressa anche in altro modo.
Alla domanda se scrive qualcosa intorno alla sua pittura, Barbara Villosio, mi risponde di no eppure – è lei stessa a dirmelo -pensa molto, macera nel desiderio e nelle aspettativa le immagini che si svilupperanno sul campo.
Ma cosa pensa? Una sequenza di immagini mano a mano messe a fuoco? Una serie d’intuizioni o progetti o almeno di approntamenti e modi di agire?
E’ un fatto che mi presenta solo dipinti, in originale e in foto e dà per scontato che sappia individuare materiali e procedure di elaborazione: carte di supporto o tele, velature trasparenze macerazioni, materiali grassi e magri diluiti parzialmente dilavati sovrapposti così da ottenere un’articolazione spaziosa in profondità e latitudine, protagonista la luce che filtra esaltandosi o smorzandosi traverso i molti sipari frapposti, facendo corpo con essi, rarefacendone la consistenza; e che sappia valutare il significato della traccia di matita litografica, che timbra e sospende l’oscillazione della materia-luce.
Se non ci fosse un addensamento verso il centro e la traccia forte in questione, la pittura di Barbara consterebbe nella integrale vanificazione della consistenza e definizione spaziale del campo;
e invece, così l’immagine viene giocata tra liquefazione o vaporizzazione e precisa messa a punto.
Come leggeremo quella traccia? La maniera più plausibile è che essa rappresenti una presenza forte e insieme problematica; che tale presenza si dislochi sempre in parte defilata –spesso in basso a destra- significherà qualcosa, così il fatto che essa si annodi e si sciolga alla maniera di una sigla, nel senso di esclusiva registrazione di una scrittura del corpo. Dal punto di vista dell’immagine, è evidente che la traccia anche per essere realizzata a compimento del lavoro con un materiale differente- rappresenta un soggetto; potrebbe, la sua chiarezza di emersione, ridurre a fondale tutto il resto, se non si tenesse a margine, contando sulla incisiva sottigliezza e la relativa apertura.
Un segno discreto, dunque, che non pretende d’essere protagonista, d’accamparsi nel centro, che assume il proprio essere davanti come una responsabilità critica, in bilico.
Pino Mantovani
È possibile travasare in discorso verbale le operazioni che compie un pittore, accumulando sottraendo materie “reali” luce e spazio “finti”, bruciando intere storie in un gesto, dilazionando un nome e un colore in una eternità di precisazione? È possibile, avrebbe senso, visto che si tratterebbe, al meglio, di un approssimativo ricalco? Si potrebbe invece sperare che l’artista stesso, o altri per lui, appuntasse le interazioni, chiarisse il metodo, verificasse l’esito in rapporto alle premesse.
Come a dire: c’è una parte della vicenda formativa che appartiene solo all’immagine, e che può essere intesa solo da chi si concentri sull’immagine; c’è una parte che dal progetto passa all’opera (spesso non coincidono), che per così dire appartiene solo all’immagine, e che può essere espressa anche in altro modo.
Alla domanda se scrive qualcosa intorno alla sua pittura, Barbara Villosio, mi risponde di no eppure – è lei stessa a dirmelo -pensa molto, macera nel desiderio e nelle aspettativa le immagini che si svilupperanno sul campo.
Ma cosa pensa? Una sequenza di immagini mano a mano messe a fuoco? Una serie d’intuizioni o progetti o almeno di approntamenti e modi di agire?
E’ un fatto che mi presenta solo dipinti, in originale e in foto e dà per scontato che sappia individuare materiali e procedure di elaborazione: carte di supporto o tele, velature trasparenze macerazioni, materiali grassi e magri diluiti parzialmente dilavati sovrapposti così da ottenere un’articolazione spaziosa in profondità e latitudine, protagonista la luce che filtra esaltandosi o smorzandosi traverso i molti sipari frapposti, facendo corpo con essi, rarefacendone la consistenza; e che sappia valutare il significato della traccia di matita litografica, che timbra e sospende l’oscillazione della materia-luce.
Se non ci fosse un addensamento verso il centro e la traccia forte in questione, la pittura di Barbara consterebbe nella integrale vanificazione della consistenza e definizione spaziale del campo;
e invece, così l’immagine viene giocata tra liquefazione o vaporizzazione e precisa messa a punto.
Come leggeremo quella traccia? La maniera più plausibile è che essa rappresenti una presenza forte e insieme problematica; che tale presenza si dislochi sempre in parte defilata –spesso in basso a destra- significherà qualcosa, così il fatto che essa si annodi e si sciolga alla maniera di una sigla, nel senso di esclusiva registrazione di una scrittura del corpo. Dal punto di vista dell’immagine, è evidente che la traccia anche per essere realizzata a compimento del lavoro con un materiale differente- rappresenta un soggetto; potrebbe, la sua chiarezza di emersione, ridurre a fondale tutto il resto, se non si tenesse a margine, contando sulla incisiva sottigliezza e la relativa apertura.
Un segno discreto, dunque, che non pretende d’essere protagonista, d’accamparsi nel centro, che assume il proprio essere davanti come una responsabilità critica, in bilico.
Pino Mantovani